venerdì 17 febbraio 2017

Ristorante La Cascina di Arona: La Sciabola

Un tabacchino in stazione, Milano Centrale
Caterina: La Sciabola

C'è un tabacchino in stazione centrale, dove non è mai un piacere avventurarsi. Almeno per me. Il cinese, in stazione ad Arona, quando arrivo all'alba non ancora spuntata, è ancora chiuso. Diciamo, votato alla povertà, visto che dovrebbe campare, tendenzialmente, della vendita di giornali e tabacchi. Ma il diavolo ti porti: se non apri quando partono i treni dei pendolari, tu, esattamente, quando li smazzi i tuoi prodotti? Forse dovrebbe riconsiderare il piano marketing. Ma soprassediamo perché, questi, son affari tutti suoi. Dunque, il tabacchino in stazione si avvale della collaborazione di tre infausti figuri. Una signora magra e settantenne che, credo non sia dotata delle percezioni di base degli umani. Se tu entri e sta preparando un caffè non alza nemmeno lo sguardo (è certamente sorda), se è al banco dei tabacchi e la saluti ti guarda fissamente in faccia e non proferisce verbo (è certamente muta), quando le passi l'ordinazione si gira come un automa e poi si volta appoggiando in malo modo il prodotto sul banco dove io, a malapena, arrivo coi denti (è certamente stronza). Una signora piccolotta anch'essa sugli anta e più in là, che pare una fruttivendola dei mercati di paese. Le guance sempre rubiconde, la messa in piega dei capelli corti fatta a ricciolini che glieli puoi contare sulla crapa, gli orecchini d'oro come quelli delle nonne. Quelle fruttivendole che, con quella strana bilancia composta di piano e bilanciere, ti facevano trrrrrr-trrrrrr davanti al naso esonseicentolire, e tu rimanevi con un bah stampato sulla faccia e non sapevi mai quanto pesava la frutta che stavi acquistando. La signora ha il dono del lamento. E vengono tutti a chiedere: di cambiare i soldi, informazioni, biglietti che non vendiamo, acqua. Oh bella de casa! Se vuoi, appena la cinese chiude per bancarotta, e torna a cucire jeans brutti nel sottoscala, le chiedo se ti prende alla pari così non parli più con nessuno. Ultimo, ma non ultimo, un giovanotto di un sessantacinque anni. Colpito da paresi, i denti boh, non so se li abbia perché parla a bocca stretta e non credo abbia mai sorriso in vita sua (d'altra parte, si sa, sorridere se lavori in un posto pubblico è vietato dalla legge) ha un grande vantaggio sulle sorelle Materassi. Si, lui, addirittura, saluta. Io insisto col sorriso esagerato e grazie e buona giornata e lui impassibile come un carabiniereepatenteelibretto, risponde sempre e solo buongiorno. Buongiorno un para de palle. Al buona giornata mi aspetto un grazie altrettanto perché, altrimenti, il mio saluto si trasforma automaticamente in anatema. E se arrivate a vedere l'alba anche domani avete solo la fortuna che i miei poteri son, sfortuna mia, troppo poco potenti e voi continuerete a camminare lentamente verso una pensione, ahimè, ancora lontana.

Foto di Simona Todescato

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